Pier Paolo Pasolini e il dialetto come espressione di identità

Se andiamo ad analizzare la formazione di Pier Paolo Pasolini, possiamo vedere come questa sia umanistica e letteraria. Le sue molteplici attività di poeta, scrittore, sceneggiatore, regista e giornalista, lo hanno portato ad essere considerato uno dei maggiori intellettuali del XX secolo. Da una parte il suo background formativo, dall’altra la sua indole di uomo controcorrente, hanno sviluppato in lui un senso di rispetto per il codice linguistico del dialetto, quale espressione di originalità e di diversità che andavano esattamente nel senso opposto a quello dettato dall’omologazione e dall’accentramento di ogni ceto sociale. A questo appiattimento verso una lingua italiana contemporanea e appunto omologatrice, contribuivano anche, secondo Pier Paolo Pasolini, la televisione, i giornali ma anche le infrastrutture come le scuole.
“Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”
Nel 1951 in “Dialetto e poesia popolare”, Pier Paolo Pasolini si espresse chiaramente in difesa del dialetto, considerandolo uno degli ultimi esempi di purezza e di difesa dalla standardizzazione culturale che stava prendendo piede nel nostro Paese. Per questo andava quindi protetto e non considerato qualcosa di negativo o addirittura dannoso. Pier Paolo Pasolini già nel 1943 a soli 21 anni, mentre i tedeschi imponevano le proprie ideologie e leggi, si prodigava per promuovere quello che era un dialetto a lui molto caro: il friulano. Il Friuli Venezia Giulia e più in particolare Casarsa, paese d’origine della madre, erano luoghi ai quali era molto legato, e proprio l’amore che nutriva per il dialetto lo spinse ad aprire una scuola per l’insegnamento del friulano accanto all’italiano.
Il suo rapporto con i dialetti, lo si apprezza anche i molte sue opere letterarie come ad esempio “Poesie a Casarsa” (1942) o “Ragazzi di vita” (1955), ma anche nei suoi film.
Pasolini evidenzia come la lingua italiana sia nata solo per una questione di prestigio letterario. Ma le persone, i comuni cittadini, parlano invece un italiano dialettizzato nel quale si percepisce la provenienza dell’individuo. Nell’espressione dialettale Pasolini vede si qualcosa di arcaico, ma proprio per questo anche un mezzo per tramandare quei valori che si sono persi nel tempo. Soprattutto con l’avvento di una forma di sviluppo sociale, economico e culturale a suo avviso distruttivo, come quello del boom economico del dopoguerra.